Onorevoli Colleghi! - Attualmente ci troviamo al cospetto di uno scenario internazionale in cui più di un miliardo di persone vive in condizioni di povertà assoluta e circa l'86 per cento del prodotto interno lordo (PIL) globale è a disposizione della sola quinta parte più ricca della popolazione mondiale, mentre la quinta parte più povera dispone solo di circa l'1 per cento del PIL. Ottocentocinquantadue milioni di persone sono da considerarsi denutrite, secondo il Rapporto della FAO dell'anno 2004 (ultimo anno nel quale l'organizzazione ha fornito l'aggiornamento di tale dato), e la grave situazione sanitaria colpisce i Paesi in via di sviluppo, con malattie endemiche e la piaga dell'AIDS. A tutto ciò si aggiungono l'elevata mortalità infantile e il diffuso analfabetismo negli stessi Paesi in via di sviluppo.
      Si prevede che nei prossimi due decenni, se non si verificherà un'inversione nei tassi di crescita, la popolazione mondiale raggiungerà gli 8 miliardi di abitanti, dei quali meno di 2 vivranno nelle aree del benessere, mentre i rimanenti 6 nelle aree della povertà e quasi la metà di essi nell'indigenza assoluta. Ne deriva che i progressi compiuti dai Paesi in via di sviluppo nel corso degli anni '90 sono ancora insufficienti ed è richiesto pertanto un rinnovato impegno della comunità internazionale.
      Proprio in merito agli impegni della comunità internazionale, vanno ricordate le tappe più importanti: dalla Dichiarazione del Millennio approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU nel settembre 2000, al Monterrey consensus, alle conclusioni della Conferenza di Doha sul commercio internazionale; dalla sessione del luglio 2001 del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) dedicata al tema della valorizzazione delle risorse umane e della sanità, alla riunione del G8 di Genova e a quella di Kananaskis, che ha approvato il Piano per l'Africa.

 

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      La cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera dell'Italia, dal momento che, da un lato, risponde all'esigenza etica della solidarietà dei ricchi verso i poveri che si manifesta anche fra Stati e, dall'altro, è utile a rafforzare le relazioni politiche, culturali ed economiche con i Paesi in via di sviluppo, promuovendo nel contempo il «Sistema Italia». La cooperazione rappresenta inoltre uno strumento per promuovere la democrazia, il buon governo e il rispetto dei diritti umani, oltre che per contribuire alla prevenzione dei conflitti e al ristabilimento della pace nelle aree di crisi.
      Sulla necessità di aiutare i Paesi poveri si registra peraltro un diffuso consenso nel Paese, fondato sia sulle ragioni etiche della cooperazione, che possono anche prescindere dai concreti interessi nazionali, sia su finalità proprie della politica estera nell'ottica del rafforzamento delle relazioni bilaterali. Si rende necessario riformare la cooperazione, specificando che occorrerà avviare un processo di riorganizzazione della struttura responsabile degli aiuti, al fine di renderla più efficiente ed efficace e più consona agli obiettivi di politica estera dell'Italia.
      Occorre riordinare la disciplina introdotta dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49, che ha rivelato nell'attuazione pratica gravi carenze operative, alle quali si è cercato di porre rimedio con numerose modifiche legislative nel corso del tempo. In particolare, si avverte l'assenza di un adeguato sistema di raccordo tra indirizzo politico, strategie operative, programmazione, esecuzione degli interventi e controlli formali e di merito, né appare chiara la suddivisione delle competenze tra il personale diplomatico e gli esperti tecnici, che sono spesso chiamati a svolgere compiti amministrativi che non spettano loro, mentre i diplomatici sono chiamati ad assumersi responsabilità per attività di natura tecnica o manageriale in merito alle quali non hanno una specifica preparazione. Va inoltre segnalato che gli esperti tecnici si trovano a svolgere la doppia funzione di elaborazione e di esecuzione dei progetti e, nel contempo, di controllo e di valutazione dell'efficacia e dell'efficienza degli stessi.
      Il capo I della presente proposta di legge detta princìpi generali in materia di cooperazione allo sviluppo.
      All'articolo 1 si stabilisce che «la cooperazione allo sviluppo è parte inscindibile della politica estera dell'Italia», con ciò volendo sottolineare l'importanza che gli interventi vengano inseriti all'interno delle linee programmatiche previste dal Ministero degli affari esteri.
      L'articolo 2 specifica che la cooperazione allo sviluppo può consistere anche nell'esportazione del know-how imprenditoriale italiano in materia di rapporti tra le istituzioni pubbliche e il settore privato.
      Un aspetto del tutto nuovo è il criterio di condizionalità previsto dall'articolo 3: si ritiene importante che l'azione di cooperazione non sia a senso unico e che, perciò, il Paese beneficiario si impegni concretamente a rispettare i diritti umani e i princìpi democratici internazionalmente riconosciuti.
      Il capo II comprende tutti gli aspetti relativi all'individuazione e all'elaborazione delle attività di cooperazione allo sviluppo.
      L'articolo 4 amplia le competenze del Ministero degli affari esteri, prevedendo che esso si occupi di proporre alle Commissioni competenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica la scelta delle priorità delle aree geografiche e dei singoli Paesi, oltre che i differenti settori di intervento, e che individui i progetti da realizzare di intesa con il Paese destinatario e in armonia con altri interventi eventualmente già in atto o in stato di elaborazione a livello internazionale. Il Ministro degli affari esteri è tenuto anche a inviare annualmente una relazione consuntiva alle Commissioni parlamentari competenti. Lo stesso dicasi per il Ministro dell'economia e delle finanze, secondo quanto statuito all'articolo 14, comma 5.
      L'articolo 5 prende in considerazione il campo degli interventi straordinari, considerando come situazioni di emergenza quelle che riguardano tre gravi casi: l'invio di missioni di soccorso nelle aree colpite
 

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da carestie e da fame, l'avvio di interventi in campo igienico-sanitario nelle aree colpite da calamità e la costruzione di strutture di accoglienza e di quanto altro necessario per i rifugiati.
      L'articolo 6 aggiunge alle competenze già previste della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) anche il compito di individuare gli addetti alla cooperazione da inviare presso le ambasciate sul territorio del Paese beneficiario, previa delibera del Comitato direzionale, di cui all'articolo 7. Con quest'ultimo articolo si stabilisce, inoltre, che il Comitato direzionale è presieduto dal Ministro degli affari esteri o dal sottosegretario di Stato da lui delegato, come era originariamente, ma aggiunge che di esso fanno parte anche il vice Ministro del Ministero dello sviluppo economico e il Capo della Direzione generale per le politiche di internazionalizzazione dello stesso Ministero. È, infine, stato previsto, come compito aggiuntivo del Comitato direzionale, che quest'ultimo esprima pareri circa l'idoneità delle organizzazioni non governative che entrano a fare parte di un progetto di cooperazione.
      Il capo III prende in considerazione i differenti aspetti inerenti le fasi di esecuzione dei progetti di cooperazione. In esso sono contenute le maggiori innovazioni alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e successive modificazioni.
      L'articolo 8 istituisce la figura degli addetti alla cooperazione: essi sono funzionari del Ministero degli affari esteri o distaccati da altro Ministero e dipenderanno dalla DGCS. Il loro compito principale è quello di seguire passo per passo i programmi di intervento servendosi, ove necessario, dell'ausilio dei consulenti tecnici. Secondariamente, viene loro concessa autonomia di azione per interventi che abbiano una previsione di spesa non superiore a 100.000 euro e, comunque, per una cifra che non superi un decimo del valore totale del piano-Paese di competenza.
      Con l'articolo 9 è istituito, presso la Direzione generale, l'albo dei consulenti tecnici. I soggetti pubblici o privati che intendano essere iscritti all'albo devono inoltrare apposita domanda al Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo, presentando idonee garanzie di professionalità. Qualora queste manchino o vengano a mancare nel corso del tempo, la DGCS ha diritto di non accettare la richiesta di iscrizione o di cancellare dall'albo chi abbia perso i requisiti di idoneità.
      L'articolo 10 prende in esame i casi di intervento a livello bilaterale: in esso si dà la possibilità alle imprese di essere esse stesse motori degli interventi di cooperazione, attraverso la proposizione di progetti preliminari adeguatamente giustificati, che vengano poi messi in concorso secondo le procedure d'appalto previste dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modifiche. Ciò permette di incentivare l'iniziativa privata, senza però perdere di vista la necessità che gli interventi siano «inscindibili» dalla politica estera italiana, come si era sottolineato all'articolo 1, in ragione del fatto che, prima che il Direttore generale proceda all'individuazione dell'ente appaltante, il Ministero degli affari esteri dovrà valutare la conformità del progetto preliminare alle linee programmatiche proprie e a livello internazionale.
      L'articolo 11 vuole incentivare, a parità di condizioni, le imprese che intendano creare o abbiano già creato rapporti di collaborazione con le imprese del Paese destinatario: ciò, infatti, consente che quest'ultimo tragga beneficio non solo dal progetto a sé stante, ma, a più ampio respiro, anche dalla spinta positiva dell'occupazione e del valore aggiunto locale.
      Le ragioni che sono alla base della presente proposta di legge costituiscono anche la ratio dell'articolo 12: si vuole che la cooperazione allo sviluppo sia effettiva e perché ciò avvenga è necessario che ogni passo sia monitorato: ex ante, dal Comitato direzionale attraverso il controllo dell'idoneità dei mezzi e del personale destinati alla cooperazione; in itinere, da parte dell'ambasciatore di riferimento, attraverso l'invio al Direttore generale, al termine di ogni intervento e comunque ogni
 

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anno, di una relazione sullo stato dei lavori e sull'operato degli addetti alla cooperazione; ex post, da parte dell'unità di valutazione, attraverso l'analisi dei risultati ottenuti in relazione ai costi sostenuti e al lavoro del personale impiegato. Anche in questi casi è sempre possibile chiedere l'ausilio dei consulenti tecnici.
      L'articolo 13 prevede l'apertura di un ufficio per la cooperazione allo sviluppo, all'interno dell'ambasciata di riferimento, dove gli addetti alla cooperazione, nel caso in cui il loro invio si renda necessario, possano svolgere i propri compiti. Al termine del progetto l'ufficio verrà chiuso.
      Gli articoli successivi seguono a grandi linee quelli della legge 26 febbraio 1987, n. 49, e successive modificazioni, ad eccezione del fatto che è stata eliminata la figura dell'esperto e quella dei volontari del servizio civile: questi ultimi non hanno più ragione di essere, poiché o saranno dipendenti delle società impiegate nel progetto di cooperazione o saranno «cooperanti» sotto contratto delle organizzazioni non governative (ONG) (articolo 30); infine, oltre ai doveri contrattualmente previsti per chi viene inviato all'estero, il personale che entra a fare parte di un progetto di cooperazione ha il dovere di supportare in ogni suo aspetto l'azione e il prestigio dell'Italia all'estero (articoli 18 e 32).
      È utile sottolineare altri due aspetti innovativi: la durata degli incarichi affidati ai dipendenti pubblici, ai docenti universitari e ai magistrati, eventualmente impiegati nei progetti, è direttamente dipendente dal tempo dell'intervento. Inoltre, ad essi potrà essere conferito un successivo nuovo incarico con le stesse caratteristiche solo per un programma di intervento in un'area geografica diversa da quella in cui si è svolto il precedente (articolo 21).
      Il secondo aspetto innovativo riguarda le ONG (articolo 27): esse devono presentare un bilancio annuale che dimostri la buona e corretta tenuta della contabilità e che evidenzi un'autonoma capacità di finanziamento per un valore pari almeno al 30 per cento dell'investimento necessario per l'intervento; è loro concessa la possibilità di richiedere l'iscrizione a un apposito albo, istituito presso la DGCS, in presenza e in costanza dei requisiti di idoneità; infine, il Direttore generale promuove almeno una volta all'anno un assemblea di tutte le ONG iscritte all'albo per discutere consuntivi e programmi della cooperazione italiana.
      In conclusione, appare chiaro che, con la presente proposta di legge, si riporta a tutti gli effetti la cooperazione allo sviluppo nell'ambito delle azioni di politica estera, che vedono l'impegno di tutto il «sistema Italia».
 

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